8 secoli di storia
Da molte generazioni la famiglia Porcia rinnova l’impegno nella conduzione delle proprie tenute agricole che ha permesso alla nostra realtà di diventare vanto per l’intera comunità. Siamo parte integrante della storia e della cultura del Friuli Venezia Giulia e tra i leader riconosciuti nel panorama agricolo regionale proponendo uno sviluppo economico, sociale ed ambientale sostenibile.
Otto secoli documentati di tradizione in questo settore caratterizzano in modo pressoché unico la nostra realtà produttiva.
Lo sviluppo del comparto energetico con i suoi importanti investimenti nel settore delle energie rinnovabili, sia nei pressi del Castello di Porcia che alla Fattoria di Azzano, inizia nel 2010 e viene costantemente rinnovato.
La nostra filosofia produttiva ha da sempre rispettato l’ambiente poiché si è basata per secoli sul modello agricolo tradizionale della rotazione delle colture e sulla diversificazione mirata e compatibile delle produzioni.
Il rispetto per la terra e per le generazioni che l’hanno coltivata, le buone pratiche agricole insieme alla zootecnia, il rispetto per l’ambiente e il focus sull’efficienza energetica sono il leit motiv che ci contraddistingue e che trova la sua origine lontano nel tempo, ben ottocentotrentasette vendemmie fa.
Otto secoli documentati di tradizione in questo settore caratterizzano in modo pressoché unico la nostra realtà produttiva.
Lo sviluppo del comparto energetico con i suoi importanti investimenti nel settore delle energie rinnovabili, sia nei pressi del Castello di Porcia che alla Fattoria di Azzano, inizia nel 2010 e viene costantemente rinnovato.
La nostra filosofia produttiva ha da sempre rispettato l’ambiente poiché si è basata per secoli sul modello agricolo tradizionale della rotazione delle colture e sulla diversificazione mirata e compatibile delle produzioni.
Il rispetto per la terra e per le generazioni che l’hanno coltivata, le buone pratiche agricole insieme alla zootecnia, il rispetto per l’ambiente e il focus sull’efficienza energetica sono il leit motiv che ci contraddistingue e che trova la sua origine lontano nel tempo, ben ottocentotrentasette vendemmie fa.
il castello di porcia
e la sua cantina
Il Castello di Porcia fu edificato in varie riprese. I primi documenti che ne parlano sotto l’aspetto architettonico sono del 1492 quando il Co. Giacomo di Porcia
scrive della rocca e delle case bellissime dei consorti a queste vicina; esalta la torre merlata così forte e resistente da gareggiare con qualunque altra
in Friuli e nel Veneto e ricorda infine le mura che circondavano il castello munito di altre otto piccole torri. Intorno a Porcia, egli scrive, scaturiscono
da ogni parte acque ed in tanta copia da formare una piccola roggia presso cui sono posti i due mulini di sopra e di sotto che servono ad uso del contado.
In altra memoria del XVI sec il Co. Gerolamo di Porcia scrisse ”il maniero è grosso, benissimo accasato e con acque assai: vi sono belli palazzi de’
conti e due bellissime torri, una delle quali si dice essere antica più di 1600 anni”.
In altre memorie si fanno i nomi delle sale del palazzo antico che ha ospitato Carlo V nel 1532 ed Enrico III nel 1574,
come per esempio la sala grande, della camera de forestieri, della sala scura, della camera degli armari e dei diamanti,
tutte ornate e recanti gli stemmi della famiglia con gigli d’oro in campo azzurro.
Il palazzo moderno, detto anche palazzo novo del Vescovo perché fatto costruire nel 1610 dal citato Co. Gerolamo, dopo il terremoto del 1873 dovette per ragioni di sicurezza essere abbassato, manomesso e devastato durante la prima guerra mondiale è stato poi progressivamente ammodernato e fruibile con le comodità oggi necessarie.
Interessante ricordare il diario che descrive la sosta già citata a Porcia e Spilimbergo dell’imperatore Carlo V il 26 ottobre del 1532. (sanuto, diari 57, col 164) ”Da Spilimbergo dove haora alloggia Sua Maestà la prima iornata a Porcia, mia 14. Da Porzia la seconda a Coneian, sono mia 17. Lo alozamneto dimane (domenica 27 ottobre) sarà a Santa Avocata, San Leonardo, San Martin e Sedran: da esser fato capo delle virtuarie Santa Avocata per lo esercito.”
Luogo importante di sosta sarebbe stato anche Pordenone, antico feudo dei duchi d’Austria e per molti anni isola storica nei possessi della Serenissima, ma un altro cronista, il Mantica, ci avverte che Carlo V non volle andare a Pordenone giacché” per essere in man dei viniciani, li saria sta vergogna”.
Il palazzo moderno, detto anche palazzo novo del Vescovo perché fatto costruire nel 1610 dal citato Co. Gerolamo, dopo il terremoto del 1873 dovette per ragioni di sicurezza essere abbassato, manomesso e devastato durante la prima guerra mondiale è stato poi progressivamente ammodernato e fruibile con le comodità oggi necessarie.
Interessante ricordare il diario che descrive la sosta già citata a Porcia e Spilimbergo dell’imperatore Carlo V il 26 ottobre del 1532. (sanuto, diari 57, col 164) ”Da Spilimbergo dove haora alloggia Sua Maestà la prima iornata a Porcia, mia 14. Da Porzia la seconda a Coneian, sono mia 17. Lo alozamneto dimane (domenica 27 ottobre) sarà a Santa Avocata, San Leonardo, San Martin e Sedran: da esser fato capo delle virtuarie Santa Avocata per lo esercito.”
Luogo importante di sosta sarebbe stato anche Pordenone, antico feudo dei duchi d’Austria e per molti anni isola storica nei possessi della Serenissima, ma un altro cronista, il Mantica, ci avverte che Carlo V non volle andare a Pordenone giacché” per essere in man dei viniciani, li saria sta vergogna”.
le tenute agricole
e la cantina di azzano
Le tenute agricole Principi di Porcía, (Castello di Porcia, Fattoria di Azzano) nella zona doc Friuli
Grave e Lison-Pramaggiore, sono una struttura che, facendo coesistere da secoli i comparti produttivi più diversi,
ossia quelli del modello agricolo tradizionale (mais, soia, orzo, foraggio, noci, pioppi, asparagi, uva da vino, latte)
garantisce al consumatore un prodotto concretamente etico, salubre, sicuro e, al tempo stesso, conveniente.
Questo grazie all’assoluta trasparenza del ciclo produttivo interno: i bovini vengono nutriti con il foraggio e i cereali al fine di un costante mantenimento della loro buona salute e di un’ottima produzione di latte. La loro sostanza organica, il loro letame, ricco di azoto, fosforo e potassio, è un motore eccezionale per la fertilità del terreno, che non necessita quindi di massicci apporti chimici, così come di diserbanti e pesticidi. La diversificazione delle colture insieme alla loro rotazione diminuisce di gran lunga le lavorazioni dei terreni contribuendo ad un maggior controllo delle infestanti. La fertilità del terreno garantisce, quindi, la certezza di operare a basso impatto ambientale, ovviamente, anche in vigna.
Le proprietà di Azzano Decimo, Porcìa e Pramaggiore, si estendono per 840 ettari, di cui 143 vitati. All’avanguardia in fatto di attrezzature e tecniche colturali, ha sempre puntato a una diversificazione mirata dei prodotti, così da ridurre i rischi derivanti dalle avversità atmosferiche e garantire uno sviluppo sostenibile del territorio.
Questo grazie all’assoluta trasparenza del ciclo produttivo interno: i bovini vengono nutriti con il foraggio e i cereali al fine di un costante mantenimento della loro buona salute e di un’ottima produzione di latte. La loro sostanza organica, il loro letame, ricco di azoto, fosforo e potassio, è un motore eccezionale per la fertilità del terreno, che non necessita quindi di massicci apporti chimici, così come di diserbanti e pesticidi. La diversificazione delle colture insieme alla loro rotazione diminuisce di gran lunga le lavorazioni dei terreni contribuendo ad un maggior controllo delle infestanti. La fertilità del terreno garantisce, quindi, la certezza di operare a basso impatto ambientale, ovviamente, anche in vigna.
Le proprietà di Azzano Decimo, Porcìa e Pramaggiore, si estendono per 840 ettari, di cui 143 vitati. All’avanguardia in fatto di attrezzature e tecniche colturali, ha sempre puntato a una diversificazione mirata dei prodotti, così da ridurre i rischi derivanti dalle avversità atmosferiche e garantire uno sviluppo sostenibile del territorio.
la famiglia porcia e brugnera
le origini
L’origine della famiglia, oggi rappresentata dal Principe Guecello, il Conte Paolo
con le loro famiglie e dai cugini del ramo di Oderzo, si perde nella notte dei tempi. I primi documenti
che ne parlano risalgono al secolo decimo secondo con l’indicazione di Prata, Porcia e Brugnera con
il capostipite Guecelletto di Prata nel 1164, quale capitano generale del Patriarca di Aquileia, dei Vescovi di Belluno e di Ceneda contro Treviso.
Guecelletto ebbe due figli, Gabriele che diede origine al ramo Prata e Federico al ramo Porcia e Brugnera.
I Porcia e Brugnera erano "avogari" delle chiese di concordia e Ceneda allo stesso modo che i Conti di Gorizia lo erano
del Patriarcato di Aquileia. Il titolo di Conte libero appare per la prima volta nel 1188 e l’intestatario ne è Guecello
di Prata figlio di Gabriele, l’attributo di conte libero era riconducibile alla nobiltà anteriore ai Patriarchi della Marca friulana
(1077) determinando obbedienza al Patriarca ma non l’esecuzione del ministero. In tale condizione ebbero il primo posto nel parlamento
friulano e poterono esercitare le funzioni comitali anche senza l’intervento del Patriarca. A cui rendevano soltanto omaggio
e taglie militari in tempo di guerra a cui dovevano far fronte con Elmos XXXII e balistas X.
Approfondimento
Anche la città di Pordenone, che costituiva una specie di isola quale possedimento di case Tedesche fra cui i Babenberg e gli Asburgo,
appartenne alla giurisdizione dei Prata, Porcia e Brugnera in più riprese, dal 1254 al 1258 e dal 1314 al 1351.
Dallo scontro con i veneziani venne distrutto il castello di Prata in quanto la ristretta oligarchia mercantile che governava Venezia avviò già nel 1300 una politica di espansione sulla terraferma.
L’impulso maggiore alla conquista del retroterra venne dato dal Doge Francesco Foscari nei primi anni del 400. Questa decisione era ritenuta salutare dai Veneziani per dare respiro ad una città assediata, infatti si può notare un sincronismo tra l'espansione turca verso occidente con quella veneziana sulla terraferma, i possedimenti veneto friulani rendevano molto ai veneziani. Nei nuovi territori, interessanti per l’agricoltura e per gli opifici, infatti Venezia poteva commerciare i prodotti d’oltremare. La conquista serviva a compensare le posizioni perdute in Oriente e a evitare che si formasse un grande stato alle sue spalle, inoltre la Repubblica si garantiva il libero accesso alle vie commerciali che, attraverso le Alpi, la mettevano in relazione con il centro e il nord Europa. Nel 1420, la conquista del Friuli da parte veneziana era completata e il Patriarcato non ebbe più funzione politica. Quando i veneziani partirono alla conquista del Friuli, in un primo tempo, i Prata assieme ai Porcia si schierarono con loro. Poi mutarono alleato mettendosi dalla parte di Lodovico di Teck, sostenuto da Sigismondo di Ungheria perché mal sopportava il dispotismo della Serenissima. Dopo alterne vicende della guerra, alla fine, i veneziani ebbero il sopravvento. Filippo Arcelli che comandava ebbe l’incarico di procedere con le vendette contro i feudatari ribelli del Friuli. Nel settembre del 1419 cinse l’assedio al castello di Prata. Gli ordini impartiti da Venezia erano perentori: totale distruzione e rovina della terra di Prata, in modo che in avvenire non dovesse essere più abitata e si potesse dire "hic fuit Prata".
La sorte dei conti Guglielmino e Nicolò era segnata. Dopo una accanita resistenza, specialmente da parte di Nicolò, il castello sarà preso e distrutto fino alle fondamenta. Il territorio fu messo a ferro e fuoco, anche gli argini del fiume vennero rotti, in modo che l’acqua rendesse inabitabile il paese, inoltre furono abbattuti i campanili e ogni altro edificio eccettuate le chiese. Il ramo della famiglia Porcia e Brugnera accettò la sottomissione alla Repubblica di Venezia evitando la distruzione e da allora si distinsero al sevizio della Serenissima come "gente d’arme".
L’impulso maggiore alla conquista del retroterra venne dato dal Doge Francesco Foscari nei primi anni del 400. Questa decisione era ritenuta salutare dai Veneziani per dare respiro ad una città assediata, infatti si può notare un sincronismo tra l'espansione turca verso occidente con quella veneziana sulla terraferma, i possedimenti veneto friulani rendevano molto ai veneziani. Nei nuovi territori, interessanti per l’agricoltura e per gli opifici, infatti Venezia poteva commerciare i prodotti d’oltremare. La conquista serviva a compensare le posizioni perdute in Oriente e a evitare che si formasse un grande stato alle sue spalle, inoltre la Repubblica si garantiva il libero accesso alle vie commerciali che, attraverso le Alpi, la mettevano in relazione con il centro e il nord Europa. Nel 1420, la conquista del Friuli da parte veneziana era completata e il Patriarcato non ebbe più funzione politica. Quando i veneziani partirono alla conquista del Friuli, in un primo tempo, i Prata assieme ai Porcia si schierarono con loro. Poi mutarono alleato mettendosi dalla parte di Lodovico di Teck, sostenuto da Sigismondo di Ungheria perché mal sopportava il dispotismo della Serenissima. Dopo alterne vicende della guerra, alla fine, i veneziani ebbero il sopravvento. Filippo Arcelli che comandava ebbe l’incarico di procedere con le vendette contro i feudatari ribelli del Friuli. Nel settembre del 1419 cinse l’assedio al castello di Prata. Gli ordini impartiti da Venezia erano perentori: totale distruzione e rovina della terra di Prata, in modo che in avvenire non dovesse essere più abitata e si potesse dire "hic fuit Prata".
La sorte dei conti Guglielmino e Nicolò era segnata. Dopo una accanita resistenza, specialmente da parte di Nicolò, il castello sarà preso e distrutto fino alle fondamenta. Il territorio fu messo a ferro e fuoco, anche gli argini del fiume vennero rotti, in modo che l’acqua rendesse inabitabile il paese, inoltre furono abbattuti i campanili e ogni altro edificio eccettuate le chiese. Il ramo della famiglia Porcia e Brugnera accettò la sottomissione alla Repubblica di Venezia evitando la distruzione e da allora si distinsero al sevizio della Serenissima come "gente d’arme".
il rinascimento a porcia
Sotto il dominio di Venezia anche la terra friulana ritrova maggior stabilità politico-economica
e le arti ebbero nuovo slancio anche se non al pari di altre corti italiane. Nella famiglia Porcia si distinsero alcuni
letterati tra i quali spicca Jacopo (1462-1538), il quale è stato un personaggio di rilievo raggiungendo notorietà come umanista.
Egli destò interesse per una particolarità: fu il primo tra i castellani del Friuli che, insofferente all’inerzia che le
mutate condizioni politiche del paese teneva obbligati gli uomini del suo ceto, abbia ricercato nello studio
e nella cultura, pur rimanendo laico, una ragione di vita. Jacopo, nato nel castello di Porcia da Artico e
da Francesca Padovani da Colloredo fu educato, senza particolare dedizione allo studio delle lettere ma
dedicandosi ai giochi cavallereschi e all’esercizio delle armi e alla caccia.
Soltanto più tardi prese in mano i libri dopo alcune traversie familiari, venutegli con la perdita della moglie e del padre e, lasciata l’amministrazione dei suoi possedimenti alla madre, si recò a Padova dove si laureò in Giurisprudenza nel 1509. In quello stesso anno, venuta a mancare anche la madre, dovette rientrare a Porcia per prepararsi all'imminente guerra. Venezia aveva approfittato dello sfacelo di Cesare Borgia per espandersi a danno dello stato della Chiesa anche nella Romagna, occupando Ravenna e Cervia e non volle aderire all’invito dell’energico Papa Giulio II di restituire il maltolto. Questa vicenda fece sì che si unirono in una lega, che sarà detta di Cambrai (1508), quasi tutti gli stati che avevano conti da regolare con i Veneziani: la Francia, la Spagna e l’impero. Duramente sconfitta ad Agnadello (1509) dai Francesi, Venezia fu costretta a cedere alla Francia Cremona e la Chiara d’Adda, al Papa Ravenna, alla Spagna i porti pugliesi (che Venezia si era presa al tempo della calata di Carlo VIII di Francia). Solo con l’Imperatore Massimiliano poté resistere e non restituì nulla, nemmeno Pordenone che da allora passò al dominio Veneziano.
Soltanto più tardi prese in mano i libri dopo alcune traversie familiari, venutegli con la perdita della moglie e del padre e, lasciata l’amministrazione dei suoi possedimenti alla madre, si recò a Padova dove si laureò in Giurisprudenza nel 1509. In quello stesso anno, venuta a mancare anche la madre, dovette rientrare a Porcia per prepararsi all'imminente guerra. Venezia aveva approfittato dello sfacelo di Cesare Borgia per espandersi a danno dello stato della Chiesa anche nella Romagna, occupando Ravenna e Cervia e non volle aderire all’invito dell’energico Papa Giulio II di restituire il maltolto. Questa vicenda fece sì che si unirono in una lega, che sarà detta di Cambrai (1508), quasi tutti gli stati che avevano conti da regolare con i Veneziani: la Francia, la Spagna e l’impero. Duramente sconfitta ad Agnadello (1509) dai Francesi, Venezia fu costretta a cedere alla Francia Cremona e la Chiara d’Adda, al Papa Ravenna, alla Spagna i porti pugliesi (che Venezia si era presa al tempo della calata di Carlo VIII di Francia). Solo con l’Imperatore Massimiliano poté resistere e non restituì nulla, nemmeno Pordenone che da allora passò al dominio Veneziano.
Dall’esperienza
che fece in guerra al servizio della Serenissima Jacopo lasciò il trattato: "De rei militari".
Non era la sua prima opera, infatti aveva già pubblicato nel 1485, appena ventitreenne, il saggio dal titolo "Jacobi comitis Purliliarum de genrosa liberoruma educatione jocundissimum quam utilissimum".
In esso Jacopo spiega come dovrebbe essere educato un giovane nobile.
Enunciava concezioni oscillanti tra quella tradizionale e il nuovo umanesimo
che cominciava a prorompere nelle corti italiane. Per Jacopo il giovane nobile, invece, non ha che due carriere davanti a sè: o quella delle arti o quella ecclesiastica.
Fra le sue opere, merita un eco la raccolta di lettere intitolata "Opus Jacobi comitis Purliliarum epistolarium familiarum",
da lui scritte sul finire del 400 a principi e letterati trattando argomenti che danno un significativo spaccato
della società e della cultura dell’epoca. Parlò poi delle invasioni turche che in più occasioni si verificarono in quegli anni nei territori da lui governati provocando stragi e distruzioni.
Scrisse anche di caccia e uccellagione e sui proverbi. Ebbe quindi un'intensa attività culturale che riuscì ad abbinare a quella di feudatario.